La vita nell'universo
Nello scorso numero di Ergane, avevamo parlato della scoperta di un sistema solare, denominato Trappist 1, che ospita ben sette pianeti di tipo roccioso e di dimensioni simili al nostro, tre dei quali situati nella cosiddetta “fascia di abitabilità” attorno alla loro stella, cioè né troppo vicini né troppo lontani da essa.
L'evento ha suscitato grandi ed, in parte, affrettati entusiasmi: ricerche più dettagliate hanno svelato infatti come il sistema sia vittima dell'irrequietezza della sua stella, che pur essendo molto più piccola e fredda del nostro Sole è assai giovane, perciò irradia spaventosi brillamenti sui vicinissimi pianeti che le ruotano attorno. Ma questa ricerca, terribilmente complessa ed affascinante, promette scoperte sempre più stimolanti merita di essere seguita con un minimo di cognizione di causa.
È doveroso quindi illustrare sommariamente le variabili che regolano le possibilità che la vita possa nascere e svilupparsi verso forme evolute.
Questi parametri risentono, inevitabilmente, delle condizioni che hanno determinato la nascita e lo sviluppo delle varie forme di vita sul nostro pianeta, tuttavia gli scienziati hanno buone ragioni per poterle considerare valide anche in altre parti della nostra Galassia così come in una regione qualsiasi dell'universo.
Nel 1961, l'astronomo Frank Drake si divertì, con alcuni colleghi, a preparare una celebre formula, nota col nome di Equazione di Drake, che si prefigge di giungere ad una stima, minimamente attendibile, delle forme di vita intelligenti che potrebbero essere nate nella sola Via Lattea.
La formula è questa: N = R x Fp x Na x Fv x Fi x Fc x L
N sta per numero di civiltà tecnologiche presenti nella Via Lattea;
R è il numero di stelle adatte ad ospitare la vita;
Fp è la frazione di queste stelle che possiedono pianeti che girano loro attorno;
Na è il numero di questi pianeti che abbiano un ambiente favorevole all'origine della vita;
Fv è la frazione di questi pianeti in cui la vita sia effettivamente nata;
Fi è la frazione di tali pianeti nei quali la vita, oltre ad essere nata, è evoluta anche verso forme intelligenti;
Fc è la frazione di civiltà che abbiano sviluppato tecnologie in grado di far emettere loro segnali elettromagnetici rilevabili;
L è la frazione di tempo al cui interno tali segnali sono stati effettivamente emessi.
È molto importante soffermarsi, inoltre, sulle condizioni offerte dalla stella, prima di definirla una buona o cattiva candidate. Essa dovrebbe:
Essere singola, non appartenere cioè ad un sistema binario o multiplo di stelle perché in tal caso le orbite dei pianeti verrebbero perturbate.
Deve essere nata in un ambiente già arricchito dai metalli provenienti dalle esplosioni, come supernovae, di stelle di precedente generazione.
Deve essere una stella di “sequenza principale”, la fase stabile della vita delle stelle.
La sua durata in tale fase deve essere lunga miliardi di anni, come per il nostro Sole. Le stelle di grande massa, infatti, nascono, evolvono e muoiono in poche decine o al massimo qualche centinaio di milioni di anni appena. Davvero poco per la vita di una stella!
Provando ad assegnare ad ognuna delle incognite proposte dall'equazione di Drake un valore credibile, e applicando le considerazioni sviluppate a proposito delle caratteristiche che una stella dovrebbe garantire, si giunge alla conclusione che una stella ogni 4000 potrebbe soddisfare tutti i requisiti. Tradotto su scala galattica, significa che fra i 200 miliardi di stelle della Via Lattea ce ne sarebbero comunque 50 milioni adatte allo sviluppo della vita. Che poi questa sia effettivamente nata e che soprattutto sia sia sviluppata verso forme di vita intelligenti, avanzate tecnologicamente ed interessate a cercare un contatto così come lo sarebbe la nostra specie, è tutto un altro discorso.
Anche Enrico Fermi, uno dei fisici più importanti del XX secolo, si interessò all'argomento, giungendo a considerazioni assai meno ottimistiche di quelle suggeriti dalla stima effettuata dagli scienziati che hanno sviluppato l'equazione di Drake.
Ragionando sull'età del nostro sistema solare, circa 5 miliardi di anni, su quella della Via Lattea e dell'universo stesso, circa 13 miliardi di anni e tenendo conto dei tempi necessari ad una civiltà tecnologica per essere capace di intraprendere viaggi interstellari, Fermi giunse alla conclusione che in alcune decine di milioni di anni una civiltà sarebbe in grado di visitare, e magari colonizzare, l'intera Via Lattea. Un tempo che a noi pare immenso, ma che è limitato rispetto all'età della stessa Galassia. Con una celebre battuta, Fermi concluse: “Se esistono, allora dove sono?”.
Come mai, cioè, non ci hanno ancora visitato? Non saremo, per caso, la sola civiltà esistente?
Collateralmente alla ricerca di pianeti intorno ad altre stelle, un'attività resa assai redditizia dai telescopi di nuova generazione, opera da molti anni il progetto SETI (acronimo che sta per Search for Extraterrestrial Intelligence) un programma internazionale che si basa sull'ascolto dei “rumori”, cioè delle onde elettromagnetiche, provenienti dallo spazio. Tutte le stelle ne emettono, ma quelle cercate dagli scienziati che lavorano al progetto SETI sarebbero quelli di origine artificiale, prodotti cioè da altre forme di vita sviluppate tecnologicamente.
In fondo anche la nostra civiltà, a partire dalle ricerche di Guglielmo Marconi, ha inondato lo spazio di onde elettromagnetiche di origine artificiale.
Le migliaia di stelle presenti così nel raggio di cento anni luce da noi (anche queste onde, infatti, non possono viaggiare a velocità superiori a quelle della luce) sono state quindi potenzialmente raggiunte dai segnali prodotti dai nostri ripetitori radio e tv.
In teoria, comunque, perchè in ogni caso la distanza crescente degrada la qualità di segnali che non sono fra l'altro ne particolarmente potenti né inviati in una particolare direzione. Così, una ipotetica civiltà progredita, situata magari a una cinquantina di anni luce da noi, potrebbe essere raggiunta solo ora dalle immagini dello sbarco dell'uomo sulla luna, e così via, tanto per fantasticare.
Il già citato Frank Drake, fu il primo scienziato a mettersi in ascolto, invano, di eventuali emissioni artificiali provenienti da due stelle piuttosto vicine Tau Ceti ed Epsilon Eridani, puntando nella loro direzione il radiotelescopio di 26 metri di diametro situato a Green Bank, nello stato del West Virginia. Non avrebbe senso, tuttavia, per le ragioni spiegate precedentemente, puntare i nostri radiotelescopi verso stelle troppo diverse dal Sole. Inoltre si pone un problema tecnico: quello di indovinare la frequenza di emissione del segnale. E come se non bastasse, bisogna fare anche i conti con la variabile “sbalzo temporale”: se un segnale intelligente avesse raggiunto la Terra anche solo un secolo fa, non avrebbe trovato nessuno strumento in grado di raccoglierlo. Oppure il contrario: potremmo cercare nella direzione giusta ma dover attendere anche migliaia di anni prima di ricevere un segnale.
In ogni caso, per elaborare più facilmente l'enorme mole di dati in arrivo, raccolti dai nostri radiotelescopi dedicati a questa ricerca, chiunque volesse può mettere a disposizione il proprio computer e scaricare il programma “Seti@home”. Il progetto, nato nel 1999, è diretto dall'università di Berkeley e conta milioni di aderenti nel mondo.
In tutti questi anni, tuttavia, questa generosa ricerca, che ha ispirato anche la trama del famoso film Contact, non ha portato alcun risultato concreto. Solo alcuni segnali hanno lasciato dei dubbi negli scienziati, il più celebre dei quali risale al 1977, quando fu captato un segnale incredibilmente simile a quelli che i ricercatori cercano. Un segnale della durata di ben due minuti, trenta volte più forte del rumore di fondo, che purtroppo non si è più ripetuto. Né ha portato risultati la ricerca condotta direttamente nella direzione dello spazio dal quale il segnale sembrava provenire.