"Spleen", la malinconia e il mal di vivere nell'ultimo libro di Antonio Galati
Il passato che si contrappone al presente, il Salento da una parte e il Portogallo dall'altra, la natura con i suoi silenzi e con i suoi paesaggi incontaminati in contrasto con la città e i suoi rumori e la sua frenesia, la civiltà contadina diversa dalla civiltà industrializzata
'Spleen', una parola che proviene dal greco antico 'splen' e giunta a noi tramite 'Le Fleurs du mal' di Baudelaire, un termine che racchiude un intero mondo fatto di sentimenti malinconici e nostalgia. È il nome che Antonio Galati, giovane scrittore salentino, utilizza come titolo del suo romanzo d'esordio, edito da CittàFutura. Un lavoro in cui presente e passato si alternano, sviluppandosi in situazioni che mettono in evidenza il cambiamento sociale avvenuto negli ultimi secoli. In questo testo si possono distinguere tre filoni: la storia dello zio dell'autore, costretto a partire, come tanti suoi coetanei, per la guerra, l'esperienza che lo scrittore stesso vive da studente Erasmus in Portogallo e il Salento che Galati racconta in tutti i suoi aspetti.
In 'Spleen' troviamo una prosa intervallata da versi poetici attraverso i quali l'autore rende ancor meglio il senso del suo lavoro, e accompagnata da lettere inviate dallo zio alla famiglia, autentiche testimonianze di come fosse difficile vivere da soldato, lontano dagli affetti e a stretto contatto con la violenza e la paura di non tornare più a casa, in un contesto dove la crudeltà e la follia umana portano a capire l'importanza della vita. Un'esperienza di certo diversa da quella fatta da Antonio Galati come studente Erasmus in Portogallo. Due giovani che partono, ma per motivi differenti, che vivono in assetti sociali e storici completamente opposti. Il periodo vissuto in Portogallo sarà per lo scrittore fondamentale per la sua crescita e formazione, nel quale vivrà appieno l'amore, l'amicizia e lo studio, senza mai perdere di vista quei valori morali in cui egli crede fermamente, fatti di lealtà, altruismo e sincerità. Valori che oggi sembrano perdersi, mentre un tempo erano l'asse portante dell'intera società. È per questo che Galati prova quella nostalgia, quello 'spleen', per gli anni passati, in particolare per il secolo scorso, un'epoca in cui alle nuove generazioni era permesso conoscere il significato del sacrificio, la generosità, la semplicità nel vivere i rapporti umani. È qui che si intravede nell'autore uno spirito romantico, che mette in discussione i vantaggi del progresso, che apparentemente incentiva il benessere, ma in realtà allontana l'uomo dall'autenticità delle relazioni affettive e dall'attenzione verso ciò che è indispensabile per la sua felicità, portandolo alla superficialità e alla dipendenza da vizi come droga e rapporti sessuali di una notte.
L'intero romanzo, narrato con uno stile quasi poetico, è basato sul dualismo: il passato che si contrappone al presente, la partenza dello zio e quella dell'autore stesso, il Salento da una parte e il Portogallo dall'altra, la natura con i suoi silenzi e con i suoi paesaggi incontaminati in contrasto con la città e i suoi rumori e la sua frenesia, la civiltà contadina diversa dalla civiltà industrializzata. È un dualismo che Galati, giovane dall'animo profondo che si pone degli interrogativi importanti, utilizza per porre attenzione su determinate tematiche, ma soprattutto per trasmettere un messaggio preciso, quello di ritornare a a quegli ideali, a quegli atteggiamenti che hanno portato nei nostri antenati, quei sentimenti di serenità, forza d'animo e pace interiore che oggi sembrano perduti.