Una dea chiamata Pachamama
La Dea della fertilità che “invita” all'autosufficienza alimentare, energetica ed economica
Pachamama è la Dea Terra dei popoli andini del Sudamerica, tutt’ora venerata dalle genti che ancor oggi si riconoscono nella cultura Inca.
Letteralmente Pacha Mama significa in lingua quechua “madre universo”.
Le cime dei monti sono i suoi seni, i fiumi il suo latte e i campi sono il suo fertile grembo. Essa è la generosa Dea della fertilità e dell’agricoltura, madre nutriente che dà la vita.
Pachamama ci riporta ad un tipo di spiritualità della terra immanente, panteistica (dal greco pan: tutto) dove tutto è sacro e divino, la terra è sacra e così gli esseri viventi, in opposizione alla spiritualità di tipo trascendente che domina nelle culture di stampo patriarcale, come la nostra, per cui la divinità si colloca al di sopra di tutte le cose terrene, di cui è creatore.
Ma, se si evita per un attimo di contrapporre culture e popoli, vediamo come ogni cultura indaga il rapporto dell'uomo con la Natura e tutte ci dicono qualcosa in più su noi stessi, dato che è immenso il legame che ci unisce a questo Luogo.
Da questa volontà di integrare e riscoprire il passato nasce un progetto in Salento, che si propone di recuperare l'antico spirito con cui le donne e gli uomini di un tempo si accostavano con rispetto alla Terra per coltivarla e raccoglierne i frutti e allo stesso tempo proporre un modello di cooperazione tra le persone che si basi su questo spirito.
Un solo elemento è stato escluso dal nostro progetto: il pensiero unico, in questo caso, applicato all'agricoltura. In campo come fuori dal campo, a Pachamama non si parla di metodi convenzionali di coltivazione, di colture intensive e monocolture che nulla hanno da insegnare, ma ci ricordano che quando si abbandona la ricerca personale della verità e si accetta passivi quello che ci viene proposto/imposto, diventiamo gregge e quello che mangiamo rispecchia il nostro essere. A questo dovremmo pensare quando vediamo immense distese di campi coltivati in monocoltura con frutta o verdura schierata in file tutte uguali.
Qualcuno penserà che da queste parti si fa politica, ciò è in parte vero. Il nostro fare politica è molto simile al punto di vista del pensiero greco presocratico, per cui non esisteva distinzione tra discorso e azione, la grandezza di Achille si comprende solo se lo si concepisce come “chi è autore di grandi imprese e pronuncia grandi discorsi”. In questa visione non c'è spazio per la retorica che è discorso privo di azione, puro mezzo di persuasione, né per la violenza, che è chiaramente muta. L’agire si realizza nel discorso, e viceversa, azione e discorso sono coevi ed equivalenti.
In questo senso facciamo politica e la realizzazione di un orto rappresenta per noi un atto prepolitico, di una valenza umana indescrivibile. Ciò che accade quando ritorniamo alla terra, a conoscerla e coltivarla è un ritrovare la strada di casa e recuperare quel rapporto sacro e biologico con Madre Terra, unica fonte di vita e attraverso il nostro lavoro trasformiamo direttamente la natura in nutrimento, senza bisogno di intermediari commerciali.
Ancora oggi coltivarsi il proprio cibo, trasformarlo, conservarlo significa liberarsi dalla necessità della vita, in nome della libertà del mondo, significa lavorare meno e avere più tempo per sé stessi. Solo a questo punto, quando si è liberi dalle necessità e dai bisogni essenziali, si può scegliere con coscienza all'interno della società, senza paure si può fare veramente politica, per questo l'orto rappresenta il primo atto prepolitico in una società evoluta.
L'autosufficienza rappresenta per noi il primo passo verso la libertà. Siamo oggi una società di lavoratori/consumatori, dimentichi di quelle attività superiori e più significative, in nome delle quali tale libertà meriterebbe di essere riconquistata. Per questo, Pachamama promuove percorsi verso l'autosufficienza alimentare, energetica ed economica, che ci rendano via via più liberi e responsabili nei confronti della nostra vita, della vita degli altri esseri viventi e nei confronti del pianeta che ci ospita.
Per fare questo serve conoscere e studiare tutto ciò che a scuola non ci hanno insegnato. Per fare questo serve l’umiltà di riprendere i libri e ricominciare da zero. Per iniziare è giusto partire proprio da lei dalla Terra, intesa come agglomerato fisico-chimico. Il suolo, questo grande sconosciuto, studiandolo ci siamo accorti della straordinaria complessità della sua struttura, di quanto sia stato ignorato dal sistema agricolo tradizionale, utilizzato come semplice supporto alla produzione, inerte, in realtà è presente più vita in un cucchiaino di suolo fertile che esseri umani sul Pianeta!
Ancor più interessante è il sistema suolo/piante e la sua naturale autonomia dall'intervento umano. Purtroppo, l'idea errata che le piante siano causa della perdita di fertilità del suolo, ha portato gli agricoltori a compensare la perdita con l'apporto di concimi chimici. A causare l'impoverimento dei suoli è, invece, la lavorazione stessa del terreno e l'abuso di prodotti di sintesi. Le piante prendono dal suolo solo gli oligoelementi e i minerali necessari alla crescita e rilasciano nel corso della loro vita circa il 25 % dei composti carbonici (zuccheri) che producono nelle loro foglie, grazie alla fotosintesi. Questi essudati prodotti dalle piante nutrono i microrganismi, che in cambio rendono accessibili alle piante gli elementi nutritivi.
La tecnica dell'aratura, disturba questo delicato equilibrio, i microrganismi messi a contatto con l'atmosfera muoiono asfissiati, come pesci fuori dall'acqua. Al contrario, un terreno non disturbato, magari protetto da pacciamatura (copertura fatta di materiale organico, come paglia o foglie), consente a batteri e miceti di proliferare e quindi di rendere disponibili gli oligoelementi per le piante, senza necessità di dover compensare chimicamente nessuno squilibrio!
Sono tante le cose che ancora non sappiamo sulla natura e le sue leggi, sulle forze cosmiche che regolano e influenzano la struttura del suolo e delle piante, ma è importante non avere la presunzione di sottovalutare ciò che ancora non conosciamo e modificarlo in base ai nostri bisogni, come abbiamo fatto coi suoli e allo scopo di renderli più produttivi nel breve periodo, sottostando solo alle leggi del mercato.
“Lo scopo vero dell’agricoltura - scrive Masanobu Fukuoka, autore di ‘La rivoluzione in un filo di paglia’ - non è far crescere i raccolti, ma la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani, prendersi cura di un piccolo campo, in pieno possesso della libertà e pienezza di ogni giorno, quotidianamente: questa deve essere stata la via originaria dell’agricoltura”.
A Pachamama cerchiamo di fare tutto questo ma siamo solo un esempio da imitare, come ce ne sono in tutto il mondo ormai, agiamo come atto poetico affinché il cambiamento sia oggi e non domani.